“Nel momento storico preciso in cui l’arte di Fabio Fabbi – il pittore bolognese che si recò in Egitto nel 1886 lasciando poi ampio resoconto documentale e visivo della sua non insolita avventura – va agli occhi della posterità ad aggiungersi (impreziosendola) a quell’ampia serie di esperienze non solo culturali ma propriamente e profondamente umane che definiamo tutt’oggi col nome di “orientalismo”, quasi un secolo (1799) era trascorso dall’arrivo del barone Dominique Vivant de Denon nella terra dei Faraoni.

Altri quattro decenni circa dovevano invece ancora passare prima che il memorabile coinvolgimento di un giovane e allora (1924) semi-sconosciuto scenografo, William Cameron Menzies, sul set del rutilante e fantasmagorico “Ladro di Baghdad” (di Raoul Walsh) s’incaricasse – con l’entusiastico sostegno dell’interprete principale del film, Douglas Fairbanks sr. – di riprogettare con audace e ultimativa visionarietà tutto quell’armamentario visivo – carovane, palmeti, notti di luna piena, deserti dai tramonti infuocati ed harem (anzi, soprattutto harem) – il cui grado di fascinazione estetica da secoli l’Oriente aveva esercitato su intere generazioni di intellettuali ed artisti europei; e di fatto lasciando, da lì in avanti, che a ricodificare tutto questo immaginario collettivo fossero non più pittori, scultori e autori di reportage, bensì i talenti di Hollywood.”

 

Questo l’incipit del lungo articolo di Matteo Mattei, responsabile d’archivio dell’Associazione per le Arti “Francesco Francia”, sul numero di giugno 2023 della rivista “La Bazza” dedicata al tema “la fantasia”.

 

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